Niccolò
Machiavelli
Discorso delle cose
fiorentine dopo la morte di Lorenzo
(1520)
Discorso delle cose fiorentine dopo la morte
di Lorenzo
[Discursus florentinarum rerum]
La cagione perché Firenze ha sempre variato spesso nei suoi
governi, è stata perché in quella non è stato mai
né republica né principato che abbi avute le debite
qualità sue: perché non si può chiamar quel
principato stabile, dove le cose si fanno secondo che vuole uno e si
deliberano con il consenso di molti; né si può credere
quella republica esser per durare, dove non si satisfà a quelli
umori, a' quali non si satisfacendo, le republiche rovinano. E che
questo sia il vero si può conoscere per li stati che ha avuti
quella città dal 1393 in qua. E cominciandosi dalla riforma
fatta in detto tempo da messer Maso degli Albizzi, si vedrà come
allora le volleno dar forma di republica governata da ottimati; e come
in essa fu tanti difetti, che la non passò quaranta anni, e
sarebbe durata meno, se le guerre dei Visconti non fussino seguite, le
quali la tenevano unita; i difetti furono, intra gli altri fare gli
squittinii per lungo tempo, dove si poteva fare fraude facilmente e
dove la elezione poteva essere non buona: perché, mu tandosi gli
uomini facilmente e diventando di buoni tristi, e dall’altro canto,
dandosi e gradi a’ cittadini per più tempo, poteva facilmente
occorrere che la elezione fosse stata buona e la tratta trista. Oltre
di questo, non vi era constituito un timore agli uomini grandi che non
potessero far sètte, le quali sono la rovina di uno stato. Aveva
ancora la Signoria poca riputazione e troppa autorità, potendo
disporre senza appello della vita e della roba dei cittadini, e potendo
chiamare il popolo a parlamento. In modo che la veniva ad essere non
defensitrice dello stato, ma instrumento di farlo perdere, qualunque
volta un cit tadino reputato la potessi o comandare o aggirare. Aveva
d’altro canto come si è detto, poca reputazione, perché,
sendo in quella spesso uomini abietti e giovani e per poco tempo, e non
facendo faccende gravi, non poteva avere reputazione.
Era ancora in quello stato un disordine non di poca importanza; era che
gli uomini privati si trovavano nei consigli delle cose publiche: il
che manteneva la reputazione agli uomini privati e la le vava a'
publici, e veniva a levare autorità e reputazione a' magistrati:
la qual cosa è contro ad ogni ordine civile. A' quali disordini
se ne aggiungeva un altro, che importava il tutto, il quale era che il
po polo non vi aveva dentro la parte sua. Le quali cose tutte insieme
facevano infiniti disordini; e se, come ho detto, le guerre esterne non
l'avessino tenuta ferma, la rovinava più presto che la non
rovinò. Surse, dopo questo, lo stato di Cosimo, el quale
pendé più verso il prin cipato che verso la republica; e
se durò più tempo che l’altro, ne furno cagione dua cose:
l’una, esser fatto con il favor del popolo; l’altra, esser governato
dalla prudenza di dua uomini, quali furono Cosimo e Lorenzo suo nipote.
Non di meno gli arrecava tanta debo lezza lo aversi a deliberare per
assai quello che Cosimo voleva con durre, che portò più
volte pericolo di perderlo: donde nacquono gli spessi parlamenti e gli
spessi esilii, che durante quello stato si feciono; e infine dipoi, in
su l’accidente della passata del re Carlo, si perdé. Dopo il
quale, la città volle pigliare forma di republica, e non si
oppose ad appigliarla in modo che fussi durabile, perché quegli
ordini non satisfacevano a tutti gli umori dei cittadini; e dall’altra
parte non gli poteva gastigare. Ed era tanto manco e discosto da una
vera re publica che un gonfaloniere a vita, s’egli era savio e tristo,
facilmente si poteva far principe; s’egli era buono e debole,
facilmente ne poteva esser cacciato, con la rovina di tutto quello
stato.
E perché sarebbe lunga materia allegarne tutte le ragioni, ne
dirò solo una: la quale è che il gonfaloniere non aveva
intorno chi lo potessi difendere, sendo buono; né chi, sendo
tristo, o frenare o cor reggere. La cagione perché tutti questi
governi sono stati defettivi è che le riforme di quegli sono
state fatte non a satisfazione del bene comune, ma a corroborazione e
securtà della parte: la quale securtà non si è
anche trovata, per esservi sempre stata una parte malcontenta, la quale
è stata un gagliardissimo instrumento a chi ha desiderato
variare.
Restaci ora a discorrere quale sia stato lo stato dal '12 a questo
tempo, e quali debolezze o gagliardie sieno state le sue; ma per esser
cosa fresca e saperlo ciascuno, non ne parlerò. Vero è
che, essendo venuta la cosa in termine, come è, per la morte del
duca, che si ha da ragionare di nuovi modi di governi, mi pare, per
mostrare la fede mia verso la Santità Vostra, non potere errare
a dire quello mi occorre. E prima dirò l’opinione di molti
altri, secondo che mi pare avere sentito ragionare; dipoi soggiungendo
l’opinione mia, nella quale, se io errassi, Vostra Santità me ne
scusi per più amorevole che prudente.
Dico adunque come alcuni giudicano non si potere ordinare il più
certo governo che quello che fu ne’ tempi di Cosimo e di Lorenzo;
alcuni altri lo desiderarebbono più largo. Dicono pertanto
coloro che vorrebbono il governo simile a quello di Cosimo, come le
cose facil mente ritornano nella natura loro; e per questo, sendo
naturale ai cittadini fiorentini l'onorare la vostra casa, godere
quelle grazie che da lei procedevano, amare quelle cose che da lei
erano amate, e fattone di questo abito per sessant’anni, non è
possibile che, vedendo i medesimi modi, e' non ritorni loro il medesimo
animo; e credono che ne possa restar pochi di animo contrario, e quelli
pochi per un con trario abito facilmente spegnersi. E aggiungono a
queste ragioni la necessità, mostrando come Firenze non
può star senza capo; e avendo ad averlo, è molto meglio
che sia di quella casa che sogliono adorare che, o non avendolo, vivere
in confusione o, avendolo, pigliarlo d’altronde, dove fussi meno
riputazione e meno contezza in ciascuno.
Contro a questa opinione si risponde come uno stato così fatto
è pericoloso non per altro che per esser debole. Perché
se lo stato di Cosimo aveva in quelli tempi tante debolezze quante di
sopra sono allegate, in questi tempi un simile stato le raddoppia,
perché la città, i cittadini, e tempi sono difformi da
quello che egli erano allora: intanto che gli è impossibile
creare uno stato in Firenze che possa stare e sia simile a quello.
La prima cosa, quello stato aveva per amico l'universale; e questo l’ha
inimico. Quelli cittadini non avevano mai trovato in Fi renze stato che
paressi più universale di quello; e questi ne hanno trovato uno
che pare loro più civile, e dove e' si contentano più. In
Italia non era allora né armi né potenza, che i
Fiorentini non potes sino colle loro armi, etiam rimanendo soli,
sostenere; ed ora, sendoci Spagna e Francia, conviene loro essere amici
d'uno di quelli; e occorrendo che quel tale perda, subito restano preda
del vincitore: il che allora non interveniva. Erano i cittadini
consueti a pagare assai gravezze; ora, o per impotenza o per
dissuetudine, se ne sono divezzi: e a volergli avvezzare, è cosa
odiosa e pericolosa. E Medici che governavano allora, per essere
nutriti ed allevati con li loro cittadini, si governavano con tanta
familiarità, che la faceva loro grazia: ora sono tanto divenuti
grandi, che passando ogni civiltà, non vi può esser
quella domestichezza e per conseguente quella grazia. Tale che,
considerata questa disformità di tempi e d'uomini, non
può essere maggiore inganno che credere, in tanta
disformità di materia, potere imprimere una medesima forma. E se
allora, come di sopra si disse, ogni dieci anni portorno pericolo di
perdere lo stato, ora lo perderebbono. Né credino che sia vero
che gli uomini facilmente ritor nino al modo dcl vivere vecchio e
consueto, perché questo si verifica quando il vivere vecchio
piacesse più del nuovo; ma quando e’ piace meno, non vi si torna
se non forzato: e tanto vi si vive quanto dura quella forza.
Oltre di questo, benché sia vero che Firenze non può
restare senza capo, e che quando si avessi a giudicare da capo privato
a capo privato, ella amassi più un capo della casa dei Medici,
che d'alcun'altra casa: nondimanco, quando si giudichi da capo a capo
publico, sempre piacerà più il capo publico, tratto di
qualunque luogo che il capo privato.
Giudicano alcuni non si poter perder lo stato senza l'assalto di fuora,
e credono potere esser sempre in tempo a fare amicizia con chi gli
assaltassi. Di che s'ingannano forte: perché il più delle
volte non si fa amicizia con chi può più, ma con quello
che ha allora più comodità di offenderti o che più
l'animo e la fantasia t'inchina ad amare: e facilmente può
occorrere che quel tuo amico perda e, per dendo, rimanga a discrezione
del vincitore; e che quello non voglia accordo teco, o per non avere
più tempo a chiederlo, o per odio che egli abbia contratto
contro di te mediante l’amicizia avevi con gli nimici suoi.
Avrebbe Lodovico duca di Milano fatto accordo con il re Luigi XII di
Francia, se lo avessi potuto avere. Averebbelo fatto con quel medesimo
il re Federigo, se lo avessi trovato; e l’uno e l’altro perdé lo
stato per non potere accordare: perché nascano mille casi che
t'im pediscano tali accordi. In modo che, discorso tutto, non si
può chia mare tale stato né sicuro né stabile,
avendo tante cagioni d’instabilità: talmente che alla Vostra
Santità, né agli amici di quella, non debbe poter piacere.
Quanto a quelli che vorrebbono il governo più largo di questo,
dico che se non si allarga in modo che diventi una republica bene
ordinata, tale larghezza è per farlo rovinare più presto.
E se loro particularmente dicessino come e' volessino che fussi fatto,
io parti cularmente ci risponderei; ma stando in su e generali, io non
posso rispondere se non generalmente. Solo voglio che questa risposta
mi basti. E quanto al confutare lo stato di Cosimo, e questo, che
nessuno stato si può ordinare che sia stabile, se non è o
vero principato o vera republica, perché tutti i governi posti
in tra questi dua sono defettivi, la ragione è chiarissima:
perché il principato ha solo una via alla sua resoluzione, la
quale è scendere verso la republica; e così la republica
ha solo una via da resolversi, la quale è salire verso il
principato. Gli stati di mezzo hanno due vie, potendo salire verso il
principato o scendere verso la republica: donde nasce la loro
instabilità.
Non può pertanto la Santità Vostra, se la desidera fare
in Firenze uno stato stabile per gloria sua e per salute degli amici
suoi, ordinarvi altro che un principato vero o una republica che abbi
le parti sue. Tutte le altre cose sono vane e di brevissima vita. E
quanto al prin cipato, io non lo discorrerò particularmente,
sì per le difficultà che ci sarebbono a farlo, sì
per esser mancato lo instrumento. E ha ad intendere questo Vostra
Santità, che in tutte le città dove è grande
equalità di cittadini, non vi si può ordinare principato
se non con massima difficultà, e in quelle città dove
è grande inequalità di citta dini non si può
ordinare republica; perché, a voler creare una republica in
Milano, dove è grande inequalità di cittadini,
bisognerebbe spegnere tutta quella nobiltà e ridurla a una
equalità con gli altri: perché tra di loro sono tanto
estraordinarii, che le leggi non bastano a reprimerli, ma vi bisogna
una voce viva ed una potestà regia che li reprima. E pcr il
contrario, a volere un principato in Firenze, dove è una
grandissima equalità, sarebbe necessario ordinarvi prima
inequalità e farvi assai nobili di castella e ville, i quali
insieme con el principe tenessino con l’armi e con l’aderenzie loro
suffocata la città e tutta la provincia. Perché un
principe solo, spogliato di nobiltà, non può sostenere il
pondo del principato: però è necessario che infra lui e
l’uni versale sia un mezzo che l'aiuti sostenerlo. Vedesi questo in
tutti gli stati di principe, e massime nel regno di Francia, come e
gentiluo mini signoreggiano i popoli, i principi e gentiluomini, e il
re i prin cipi. Ma perché fare principato dove starebbe bene
republica e repu blica dove starebbe bene principato, è cosa
difficile, inumana e indegna di qualunque desidera essere tenuto
pietoso e buono, io lascerò il ragionare più del
principato e parlerò della republica: sì perché Fi
renze è subietto attissimo da pigliare questa forma, sì
perché s'in tende la Santità Vostra esserci
dispostissima; e si crede che ella diffe risca il farlo, perché
quella desiderarebbe trovare un ordine dove l’autorità sua
rimanesse in Firenze grande e gli amici vi vivessino securi. E
parendomi averlo pensato, ho voluto che la Santità Vostra
intenda questo mio pensiero; acciò che se ci è cosa
veruna di buono, se ne serva, e possa ancora mediante quello conoscere
quale sia la mia servitù verso di lei. E vedrà come in
questa mia republica la sua autorità non solamente si mantiene,
ma si accresce; e gli amici sua vi restano onorati e securi; e l’altra
universalità di cittadini ha cagione evidentissima di
contentarsi.
Prego bene con reverenza Vostra Santità che non biasimi e non
laudi questo mio discorso, se prima non lo ha letto tutto: e similmente
la prego che non la sbigottisca qualche alterazione di magistrati;
perché, dove le cose non sono bene ordinate, quanto meno vi
resta del vecchio, tanto meno vi resta del cattivo.
Coloro che ordinano una repuhlica debbono dare luogo a tre di verse
qualità di uomini, che sono in tutte le città:
cioè, primi, mezzani e ultimi. E benché in Firenze sia
quella equalità che di sopra si dice, nondimeno sono in quella
alcuni che sono di animo elevato, e pare loro meritare di precedere
agli altri: a' quali è necessario nell’ordi nare la republica
satisfare; né per altra cagione rovinò lo stato passato
che per non si essere a tale umore satisfatto.
A questi così fatti non è possibile satisfare, se non si
dà maestà a' primi gradi della republica, la quale
maestà sia sostenuta dalle per sone loro.
Non è possibile dare questa maestà a' primi gradi dello
stato di Firenze, mantenendo la Signoria e i Collegi nel termine che
sono stati per lo addietro: perché, non potendo sedere in
quelli, rispetto al modo che si creano, uomini gravi e di reputazione
se non di rado, conviene questa maestà dello stato o collocarla
più basso ed in luoghi transversali o volgerla agli uomini
privati: il che è contro ad ogni ordine politico. E però
è necessario correggere questo modo e insieme, con tale
correzione, satisfare alla più alta ambizione che sia nella
città. E 'l modo è questo.
Annullare la Signoria, gli Otto della pratica e i dodici Buoni uomini,
ed in cambio di quelli per dare maestà al governo, creare
sessantacinque cittadini di quarantacinque anni forniti:
cinquantatré per la maggiore e dodici per la minore; e quali
stessino a vita nel governo nello infrascritto modo.
Creare un gonfaloniere di giustizia per due o tre anni, quando non
paressi farlo a vita; ed i sessantaquattro cittadini che restassino, si
dividessino in due parti: l'una parte governassi insieme col gon
faloniere un anno, e l'altra parte l'altro anno; e così
successivamente si scambiassino, tenendo l’infrascritto ordine: e tutti
insieme si chia massino la Signoria.
Che li trentadue si dividessino in quattro parti, otto per parte; e
ciascuna parte facessi presidenzia con il gonfaloniere tre mesi in pa
lazzo e pigliassi il magistrato con le cerimonie consuete e facessi le
faccende che fa oggi la Signoria sola, e dipoi insieme con gli altri
compagni de' trentadue avessi tutta quella autorità e facessi
tutte quelle faccende che fanno oggi la Signoria, gli Otto della
pratica e i Collegi, che di sopra si annullano: e questo, come ho
detto, fusse il primo capo e il primo membro dello stato. Il quale
ordine, se si considererà bene, si conoscerà per esso
essersi renduto la maestà e la reputazione al capo dello stato:
e si vedrà come gli uomini gravi e d’autorità sempre
sederebbono nei primi gradi; non sarebbono neces sarie le pratiche
degli uomini privati, il che io dico di sopra essere pernizioso in una
republica: perché gli trentadue che non fussino quel l'anno in
magistrato potriano servire per consultare e praticare. E po trehbe la
Santità Vostra mettere in questa prima elezione, come di sotto
si dirà, tutti gli amici e confidenti sua. Ma vegnamo ora al
secondo grado dello stato.
Io credo che sia necessario, sendo tre qualità di uomini, come
di sopra si dice, che siano ancora tre gradi in una republica; e non
più. Però credo sia bene levare una confusione di
Consigli, che sono stati un tempo nella vostra città: i quali
sono stati fatti non perché fussino necessarii al vivere civile,
ma per pascere con quelli più cit tadini; e pascerli di cosa che
in fatto non importava cosa alcuna al bene essere della città:
perché tutti per via di sètte si potevano corrompere.
Volendo adunque ridurre una republica appunto con tre membra, mi pare
da annullare i Settanta, il Cento e il Consiglio del popolo e del
comune; e in cambio di tutti questi creare un Consiglio di dugento, di
quaranta anni forniti: quaranta per la minore e centosessanta per la
maggiore, non ne potendo essere nessuno dei sessanta cinque; e stessino
a vita, e fussi chiamato il Consiglio degli scelti. Il quale Consiglio
insieme con i sessantacinque nominati facessi tutte quelle cose e
avessi tutta quella autorità che hanno oggi e soprascritti
Consigli, che fussino per virtù di questo annullati; e questo
fussi il secondo grado dello stato: e tutti fussino eletti da Vostra
Santità. Onde, per far questo e per mantenere e regolare e
soprascritti ordini e quelli che di sotto si diranno, e per
securtà dell'autorità vostra e degli amici di Vostra
Santità, si dessi alla Santità Vostra e al cardinale
reverendissimo de' Medici, per la balìa, tanta autorità,
durante la vita d'ambidua, quanta ha tutto il popolo di Firenze.
Che il magistrato degli Otto di guardia e balìa si creassi per
autorità di Vostra Santità, di tempo in tempo.
Ancora, per più sicurtà dello stato e degli amici di
Vostra San tità, si dividessi l’ordinanza delle fanterie in due
bande; alle quali Vostra Santità di sua autorità
deputassi ogni anno dua commissarii: un commissario per banda.
Vedesi per le sopradette cose come si e satisfatto a dua qualità
di uomini, e come e si è corroborata la vostra autorità
in quella città, e quella de’ suoi amici: avendo l’armi e la
giustizia criminale in mano, le leggi in petto, ed i capi dello stato
tutti sua.
Resta ora satisfare al terzo ed ultimo grado degli uomini, il quale
è tutta la universalità dei cittadini: a' quali non si
satisferà mai (e chi crede altrimenti non è savio), se
non si rende loro o promette di render la loro autorità. E
perché al renderla tutta ad un tratto, non ci sarebbe la
sicurtà degli amici vostri, né il mantenimento del
l'autorità della Santità Vostra, è necessario
parte renderla e parte pro mettere di renderla, in modo che siano al
tutto certi di averla a riavere: e però giudico che sia
necessario di riaprire la sala del Con siglio de' mille, o almeno dei
seicento cittadini, e quali distribuissino, in quel modo che già
distribuivano, tutti gli offizi e magistrati, eccetto che i prenominati
Sessantacinque, Dugento e Otto di balìa; e quali durante la vita
di Vostra Santità e del cardinale fussino deputati da voi. E
perchè gli vostri amici fussino certi, andando a partito del
Consiglio, d’essere imborsati, deputassi Vostra Santità otto
accoppiatori, che stando al secreto, potessino dare el partito a
chi e' volessino, e non lo potessino tòrre ad alcuno. E
perché l’universale credesse che fussino imborsati quelli che
lui vincessi, si permettesse che il Consiglio mandassi al securo due
cittadini squittinati da lui per essere testimoni delle imborsazioni.
Senza satisfare all'universale, non si fece mai alcuna republica
stabile. Non si satisferà mai all'universale dei cittadini
fiorentini, se non si riapre la sala: però conviene, al volere
fare una republica in Firenze, riaprire questa sala e rendere questa
distribuzione all'uni versale, e sappia Vostra Santità, che
qualunque penserà di tòrle lo stato, penserà
innanzi ad ogni altra cosa di riaprirla. E però è partito
migliore che quella l'apra con termini e modi sicuri, e che la tolga
questa occasione a chi fussi suo nemico di riaprirla con dispiacere suo
e destruzione e rovina de' suoi amici.
Ordinando così lo stato, quando la Santità Vostra e
monsignore reverendissinio avesse a vivere sempre, non sarebbe
necessario prov vedere ad altro; ma avendo a mancare e volendo che
rimanga una republica perfetta e che sia corroborata da tutte le debite
parti e che ciascuno vegga e intenda ch'egli abbia ad essere
così, acciò che l'universale (e per quello che se gli
rende e per quello che se gli promette) si contenti, è
necessario, di più, ordinare:
Che gli sedici gonfalonieri delle compagnie del popolo si creino nel
modo e per il tempo che si sono creati fino ad ora; facendogli o
d'autorità di Vostra Santità, o lasciandogli creare al
Consiglio, come a quella piacesse; solo accrescendo e divieti,
acciò si allargassino più per la città: ed
ordinassi che non ne potesse essere alcuno de' sessantacinque
cittadini. Creati che fussino, si traessi di loro quattro pro posti,
che stessino un mese: tale ch'alla fine del tempo fussino stati tutti
proposti; di questi quattro se ne traesse uno, il quale facessi
residenza una settimana in palazzo con gli nove Signori residenti: tale
che alla fine del mese avessino fatto residenza tutti quattro. Non
potessino detti Signori residenti in palazzo fare cosa alcuna lui as
sente; e quello non avessi a rendere partito, ma solo essere testimone
delle azioni loro: potesse bene impedire loro e deliberare una causa e
demandarla a tutti e trentadue insieme. Così medesimamente non
potessino e trentadue deliberare cosa alcuna senza la presenza di dua
de' detti proposti: e loro non vi avessino altra autorità che
fer mare una deliberazione che si trattassi infra loro, e demandarla al
Consiglio degli scelti; né il Consiglio dei dugento potesse fare
cosa alcuna, se non vi fusse almeno sei de' sedici co' dua proposti:
dove non potessino fare alcuna altra cosa che levare da quel Consiglio
una causa e demandarla al Consiglio grande, quando fussino tre di loro
d'accordo a farlo. Non si potessi ragunare el Consiglio grande senza
dodici de' detti gonfalonieri, senza infra loro almeno tre proposti;
dove potessino rendere il partito come gli altri cittadini.
Questo ordine di questi Collegi così fatto è necessario
dopo la vita di Vostra Santità e di monsignore reverendissimo,
per dua cose: l’una, perché la Signoria o l’altro Consiglio, non
deliberando una cosa per disunione, o praticando cose contra al bene
comune per malizia, abbia appresso chi le tolga quella autorità
e demandila ad un altro; perché e' non è bene che una
sorte di magistrato o di Con siglio possa fermare un'azione senza
esservi chi possa a quella mede sima provvedere. Non è anche
bene che e cittadini che hanno lo stato in mano non abbino chi gli
osservi e che gli facci astenere dal l'opere non buone, togliendo loro
quella autorità che li usassino male. L'altra ragione è,
che togliendo all'universalità de' cittadini, levando la
Signoria come si fa oggi, il potere essere dei Signori, è
necessario restituirgli un grado che somigli quello che se gli toglie:
e questo è tale, ch'egli è maggiore, più utile
alla republica e più onorevole che quello. E per al presente,
sarebbe da creare questi gonfalonieri per mettere la città negli
ordini suoi, ma non permettere facessino l’uffizio loro senza licenza
di Vostra Santità; la quale se ne potrebbe servire per farsi
riferire le azioni di quegli ordini per conto dell’autorità e
stato suo.
Oltra di questo, per dare perfezione alla republica dopo la vita di
Vostra Santità e di monsignore reverendissimo, acciò non
le man cassi parte alcuna, è necessario ordinare un ricorso agli
Otto di guar dia e balia, di trenta cittadini, da trarsi dalla borsa
de' dugento e de' sessantacinque insieme: il qual ricorso potessi
chiamare l'ac cusatore e il reo infra certo tempo. Il quale ricorso
durante le vite vostre non lo lasceresti usare senza vostra licenza.
È necessario in una republica questo ricorso, perché li
pochi cittadini non hanno ardire di punire gli uomini grandi: e
perciò bisogna che a tale effetto concorressino assai cittadini,
acciò che il giudicio si nasconda e, nascondendosi, ciascuno si
possa scusare. Ser virebbe ancora tale ricorso, durante le vite vostre,
a fare che gli Otto spedissino le cause e facessino giustizia:
perché, per paura che voi non permettessi il ricorso,
giudicarebbono più rettamente. E perché non si ricorressi
d’ogni cosa, si potrebbe ordinare che non si potessi ricorrere per cosa
pertinente alla fraude, che non importassi almeno cinquanta ducati;
né per cosa pertinente a violenza, che non vi fossi seguito o
frattura d’osso o eflusione di sangue o ascendessi il danno alla somma
di ducati cinquanta.
Parci, considerato tutto questo ordine come republica, e senza la
vostra autorità, che non le manchi cosa alcuna, secondo che di
sopra si è a lungo disputato e discorso; ma se si considera
vivente la Santità Vostra e monsignore reverendissimo, ella
è una monarchia: perché voi comandate all'armi, comandate
a' giudici criminali, avete le leggi in petto; né so più
quello che più si possa desiderare uno in una città. Non
si vede ancora, di quello che i vostri amici, che sono buoni e che
vogliano vivere del loro, abbino da temere; rimanendo Vostra
Santità con tanta autorità e trovandosi a sedere ne'
primi gradi del governo. Non veggiamo ancora come la
universalità dei cittadini non si avessi a contentare,
veggendosi rendute parte delle distribuzioni, e l’altre vedendo a poco
a poco cadersi in mano: perché Vostra Santità potrebbe
qualche volta lasciare fare al Consiglio qualcuno dei sessanta cinque
che mancassino, e cosi dei dugento; e alcuni farne lei secondo i tempi:
e sono certo che in poco tempo, mediante l’autorità di Vostra
Santità, che timoneggerebbe tutto, che questo stato presente si
con vertirebbe in modo in quello e quello in questo, che diventerebbe
una medesima cosa e tutto un corpo, con pace della città e fama
perpetua di Vostra Santità; perché sempre
l’autorità di quella potrebbe soc correre a' difetti che
surgessino.
Io credo che il maggiore onore che possono avere gli uomini sia quello
che volontariamente è loro dato dalla loro patria: credo che il
maggiore bene che si faccia, e il più grato a Dio, sia quello
che si fa alla sua patria. Oltra di questo, non è esaltato
alcuno uomo tanto in alcuna sua azione, quanto sono quegli che hanno
con leggi e con istituti reformato le republiche e i regni: questi
sono, dopo quegli che sono stati Iddii, i primi laudati. E
perché e’ sono stati pochi che abbino avuto occasione di farlo,
e pochissimi quelli che lo abbino sa puto fare, sono piccolo numero
quelli che lo abbino fatto; e è stata stimata tanto questa
gloria dagli uomini che non hanno mai atteso ad altro che a gloria, che
non avendo possuto fare una republica in atto, l'hanno fatta in
iscritto: come Aristotile, Platone e molti altri; e quali hanno voluto
mostrare al mondo che se, come Solone e Licurgo, non hanno potuto
fondare un vivere civile, non è mancato dalla ignoranza loro, ma
dalla impotenza di metterlo in atto.
Non dà adunque il cielo maggiore dono ad uno uomo, né gli
può mostrare più gloriosa via di questa. E infra tante
felicità che ha dato Iddio alla casa vostra e alla persona di
Vostra Santità, è questa la maggiore, di darle potenza e
subietto da farsi immortale e superare di lunga per questa via la
paterna e la avita gloria. Consideri dunque Vostra Santità in
prima come nel tenere la Città di Firenze in questi presenti
termini, vi si corre, venendo accidenti, mille pericoli; e avanti che
venghino, la Vostra Santità ha da sopportare mille fastidii
insop portabili a qualunque uomo: dei quali fastidii vi farà
fede la reve rendissima signoria del cardinale, sendo stato questi mesi
passati in Firenze. E quali nascono parte da molti cittadini che sono
nel chie dere prosuntuosi e insopportabili; parte da molti a' quali non
parendo, stando così, vivere sicuri, non fanno altro che
ricordare che si pigli ordine al governo: e chi dice che si allarghi e
chi che si restringa, e nessuno viene ai particolari del modo del
restringere o dell'allar gare, perché sono tutti confusi, e non
parendo loro vivere sicuri nel modo che si vive, come lo vorrebbono
acconciare non sanno, a chi sapessi non credono: tale che con la
confusione loro sono atti a confondere ogni regolato cervello.
Per volere adunque fuggire tutti questi fastidi, non ci sono se non dua
modi: o ritirarsi con l'audienze e non dare loro animo ne di chiedere,
etiam ordinariamente, nè di parlare se non sono doman dati, come
faceva la illustre memoria del duca; ovvero ordinare lo stato in modo,
che per se medesimo si amministri e ch'alla Santità Vostra basti
tenervi la metà di un occhio volto. Dei quali modi, questo
ultimo vi libera dai pericoli e da' fastidii; quell'altro vi libera
solo dai fastidii. Ma per tornare a' pericoli che si portano stando
così, io voglio fare un pronostico: che, sopravvenendo un
accidente, e la città non sia altrimenti riordinata, e' si
farà una delle due cose o tutte a due insieme: o e' si
farà un capo tumultuario e subitaneo, che con le armi e con
violenza defenda lo stato; o una parte correrà ad aprire la sala
del Consiglio e darà in preda l’altra. E qualunque di queste due
cose segua (che Dio guardi), pensi Vostra Santità quante morti,
quanti esilii, quante estorsioni ne seguirebbe, da fare ogni cru
delissimo uomo, non che Vostra Santità, che è
pietosissima, morire di dolore. Né ci è altra via da
fuggire questi mali, che fare in modo che gli ordini della città
per loro medesimi possino stare fermi: e staranno sempre fermi quando
ciascheduno vi averà sopra le mani; e quando ciascuno
saperrà quello ch'egli abbi a fare e in che gli abbi a
confidare, e che nessuno grado di cittadino, o per paura di sé o
per ambizione, abbi a desiderare innovazione.